Remo Bianco – Impronta 20

Impronta 20Remo Bianco

Remo Bianco

Remo Bianco nacque a Milano il 3 giugno 1922. Il padre, Guido, era elettricista del Teatro alla Scala, anarchico irriducibile e uomo severo. La madre, Giovanna Ripamonti, aveva studiato astrologia. Remo era il secondo di due gemelli, il fratello Romolo morirà di broncopolmonite nel 1923. Prima di loro nacque la sorella Lyda, che sarebbe diventata étoile della danza classica, con cui Bianco ebbe sempre un forte legame e grande complicità.
Nel 1937 si iscrisse ai corsi serali dell’Accademia di Brera dove due anni dopo conobbe de Pisis e cominciò a frequentare con assiduità lo studio del Maestro dove ebbe l’opportunità di conoscere artisti come Carrà, Sironi, Savinio, Soffici, Soldati, Marini, Cantatore.
Nel 1941 fu arruolato come puntatore mitragliere su un cacciatorpediniere che due anni dopo fu poi silurato e affondato. Bianco, recuperato dagli inglesi, venne internato a Tunisi dove ebbe il primo contatto con l’oriente.

Gli esordi: la Stagione Figurativa

Nel 1944 ritornò a Milano dove riprese i contatti con Filippo de Pisis e gli studi all’Accademia di Brera.
In questo periodo la sua opera pittorica è fortemente affine all’intenso espressionismo esistenziale del francese Rouault, ne è prova l’autoritratto che dipinse nel 1945. Nei suoi dipinti larghe linee scure cominciano a racchiudere spessi strati di colore plumbeo e sulfureo.
A partire dagli anni cinquanta i volti di Bianco si fanno sempre più maculati e le pennellate più indisciplinate e i colori si assottigliano.

Dalla figurazione all’astrazione: la Stagione Nucleare e Spaziale

Del Movimento Nucleare (fondato a Milano nel 1951 da Dangelo e Baj) Bianco colse l’amore per la materia. Nelle sue opere le linee dei volti si fanno sempre più impercettibili e ben presto lasciano il posto ad amalgami di pittura, a croste di materia ormai quasi del tutto informi (Testa, 1952). Il passo successivo è più radicale, è un composto di colori e cristalli di vetro, vernici e colle, paste iridescenti e ciottoli (Nucleare, 1952). Dello Spazialismo colse invece la dimensione più estrosa, sperimentale, ironica e dadaista, interessandosi alla traccia materica e alla scrittura cromatica. La pittura si libera quasi del tutto della figurazione per diventare una stratificazione di fili e pennellate. Il critico Pierre Restany ha scritto: ” Non dimentichiamo che Remo Bianco si è formato nel dopoguerra alla scuola dello spazialismo milanese di Lucio Fontana e Carlo Cardazzo e che egli ne ha tratto una doppia lezione di energia e di eclettismo – in una sola parola di libertà”[2]. Nel 1952 tenne, infatti, la sua prima mostra personale[3] presso la Galleria del Cavallino diretta da Carlo Cardazzo, cui seguirono numerose altre, anche alla Galleria del Naviglio di Milano, lungo il corso della sua carriera[4].

Le opere Tridimensionali: 3D

All’inizio degli anni cinquanta Bianco cominciò a trasferire le composizioni geometriche su strati di vetro e plastica, sfruttando le loro trasparenze lattiginose o traslucide per creare effetti diafani, sfocature e trasparenze.
A questi 3D si affiancano quelli realizzati su legno, plexiglas e metallo sempre stratificati, ma intagliati in varie forme.
Fu nel 1955 che, grazie a una borsa di studio, si recò negli Stati Uniti dove ebbe la possibilità di conoscere Jackson Pollock.

Dai Collage ai Tableaux dorés alle Appropriazioni

Negli Stati Uniti Bianco conosce l’espressionismo astratto e incontra Jackson Pollock, da cui apprende la tecnica del dripping, che utilizza nei Collages realizzati dal 1955. In queste opere scompone opere elaborate con la tecnica del dripping in ritagli perlopiù quadrangolari poi ricomposti, secondo una disposizione a scacchiera, a formare una nuova opera. Ed è dallo sviluppo dei Collages che Bianco giunse a creare le opere più conosciute di tutta la sua produzione: i Tableaux dorés. Si tratta della serie più numerosa, ma anche più ricca di inventiva, sono tutti diversi tra loro sia per i colori utilizzati che per il numero e le dimensioni delle foglie d’oro applicate, ma anche quando sono solo quattro (o addirittura una unica) il quadro non perde di forza e di eloquenza, semmai acquista in mistero e profondità[5].

Bianco continuò a dipingere Tableaux dorés sino agli anni ottanta, ma nel frattempo anche questi diedero origine a una evoluzione delle sue sperimentazioni: le Appropriazioni degli anni settanta. In queste opere i quadratini d’oro vengono applicati agli oggetti comuni piccoli o grandi come un’automobile di cui l’artista si impossessa tramite il marchio dei Tableaux.

L’Arte Improntale, le Testimonianze, le Sculture Neve

Bianco sviluppò l’Arte Improntale già dal 1948 intingendo nel colore gli oggetti e stampandone l’impronta come un timbro. A metà degli anni cinquanta iniziò a creare calchi in gomma o in carta degli oggetti e scrisse il “Manifesto dell’Arte Improntale” (1956). Appartengono all’Arte Improntale anche i Sacchetti-Testimonianze: file di bustine di cellophane, allineate al ritmo dei Tableaux dorés, piene di piccoli oggetti consunti, frammenti di storia quotidiana.
A metà degli anni settanta sperimentò un nuovo materiale, la neve artificiale che spruzzava sugli oggetti più diversi o sulle persone. I piccoli oggetti venivano chiusi in teche, mentre le persone venivano fotografate in bianco e nero. Le Sculture Neve sono dirette discendenti delle Testimonianze.

L’Arte Elementare

Fu uno tra gli ultimi cicli sperimentati da Bianco che negli anni settanta, pur proseguendo tutte le altre serie, ritornò all’abc della pittura sviluppando su fondi a volte quadrettati, file di trenini, fiori, frutti, giostre, soldatini e scritte corsive che rimandano a un mondo di rappresentazioni minimali e stereotipate.

 

(Fonte : Sito Artista)

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