Untitled from Women fo Allah seriesShirin Neshat
Shirin Neshat,
Nata in Iran nel 1957, Neshat si trasferì negli Stati Uniti per frequentare l’università.[3] Dopo essere tornata in madrepatria nel 1990, l’artista rimase colpita dai cambiamenti causati dalla rivoluzione (1978-9), a seguito della quale furono emanate delle leggi restrittive secondo le quali le donne potevano tenere scoperti solo il volto e le mani.[3] Neshat scelse quindi di diventare un’artista per documentare la realtà e criticare le nuove regole imposte alle donne, da lei considerate ingiuste.[3]
È del 2009 il suo primo lungometraggio: Donne senza uomini, con il quale ha vinto il Leone d’Argento per la miglior regia al 66º Festival di Venezia.[4][5][6]
Attraverso il suo lavoro Shirin Neshat analizza le difficili condizioni sociali all’interno della cultura islamica, con particolare attenzione al ruolo della donna, rivolgendosi al significato sociale, politico e psicologico dell’essere donna nelle società islamiche contemporanee.[8][9]
Anche se Neshat attivamente resiste alle rappresentazioni stereotipate dell’Islam, i suoi obiettivi artistici non sono esplicitamente polemici. Piuttosto, il suo lavoro riconosce le forze intellettuali e religiose complesse che modellano l’identità delle donne musulmane nel mondo intero. Come fotografa e video-artista, Shirin Neshat è famosa per i suoi ritratti di corpi di donne interamente ricoperti da scritte in calligrafia araba.[2]
Ha inoltre diretto parecchi video, tra cui Anchorage (1996), proiettato su due pareti opposte: Shadow under the Web (1997), Turbulent (1998) prodotto da Noire Gallery, Rapture (1999) e Soliloquy (1999).
Nelle sue fotografie e nei suoi video mostra attraverso immagini piene di tensione dei corpi velati, dei martiri (uomini o donne), persone sottomesse, che ogni giorno devono fare i conti con la violenza ed il terrorismo.[10]
(Fonte : Wikipedia)